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Le nostre società sono sferzate da un vento di catastrofe: crisi economica, cataclismi ambientali, militarizzazione crescente ne rappresentano i fenomeni più appariscenti e mortiferi. La politica "democratica" appare sempre più collusa e oligarchica, mentre le nostre tradizioni culturali si dibattono tra integralismo e smarrimento relativistico. I ritmi di vita risentono violentemente delle pressioni competitive e alienanti provenienti dalla produzione e dai mercati. Gli umani, e in particolare le giovani generazioni, dietro la patina luccicante dello spettacolo e i feticci consumistici, si sentono assillati in profondità da depressione, senso d'impotenza e angoscia per un futuro che si è fatto minaccia. Una possibilità di restare vivi non si potrebbe profilare quindi, paradossalmente, proprio nella nostra radicale, irrinunciabile decisione di "fare il morto"? Toccare i limiti dell'attivismo, provare ad oltrepassarli, praticare giochi di desistenza e renitenza, imparando a dire no a quel che il mondo ci presenta come unica forma di libertà e di vita e prova a imporsi come destino ineluttabile.