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George Best: un nome che non smette di esercitare il suo fascino su ogni appassionato di calcio, anche su quelli che non hanno avuto la fortuna di vederlo giocare. Il migliore dell'epoca che annovera anche Pelé, a giudizio proprio di quest'ultimo e non è un paradosso: è la sintesi di una carriera straordinaria e intensa, nella sua brevità; paradossale nel suo toccare l'apice con la prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra inglese e nell'iniziare, contestualmente, un declino precoce, segnato da un percorso di autodistruzione. Una sorte che fa riflettere sul fatto che due parole come dribbling e drink, in fondo, iniziano allo stesso modo. La storia di un ragazzino timido della Belfast protestante nato con un dono, che lo porterà a bruciare le tappe di un destino irripetibile in tutte le sue accezioni possibili e immaginabili. Dionisiaco dentro come fuori dal terreno di gioco, Best suo malgrado si trovò a incarnare il paradosso di un talento dal quale scaturisce un successo non del tutto gestibile; Paolo Marcacci lo racconta in pagine che hanno il respiro dell'epos quando narra le imprese calcistiche di Best con la maglia del Manchester United e che si caricano di riflessioni esistenziali, senza indulgere nel moralismo dei giudizi, quando si racconta del Best uomo, dei suoi eccessi, e delle sue battaglie - perse in modo anch'esso inimitabile - contro i propri demoni.