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I libri che spingono a pensare facendo sorridere sono rari, e molto spesso sono frutti più o meno fortuiti di esperienze anomale, straordinarie. Anche nel caso de "Il ballo dei pescicani", autobiografia-romanzo-testimonianza di un irregolare puro, ci si trova di fronte a una sorta di anomalia della letteratura, un'eccezione alla regola, tanto più perché Aldo Pomini (1911-1979) non è un letterato, e forse non è nemmeno uno scrittore, se per scrittore si intende chi fa della scrittura una professione. Pomini, al contrario, è scrittore per accidente, per grazia. Nato a Bange, nel cuneese, e trasferitosi bambino a Tolone, cresce in un ambiente proletario e finisce per diventare un piccolo delinquente. A causa di una rapina maldestramente fallita ad un ufficio postale, sarà condannato ai lavori forzati, che sconterà in quella Guyana francese diventata famosa anche grazie al bestseller "Papillon". È la storia di questa prigionia che si racconta nel libro, con i tentativi di fuga e i suoi colpi di scena, nel mondo variegato e mirabolante di coloro che noi borghesi - come scrive Pasolini nella recensione che fece di questo libro nel 1974, qui ripubblicata - chiamiamo «banditi». È una realtà che confina con l'allucinazione, anche per il linguaggio «in purezza» usato da Pomini per descriverla, spontaneo, sgangherato e imprevedibile, in cui si mischiano francesismi e ispanismi, l'italiano regionale popolare, il patois provenzale, le parole gergali dei galeotti e della mala. Un linguaggio che è tutto il suo autore, e dà corpo a un'opera che, come dice il curatore nella prefazione, «è il frutto di un patto dell'autore con se stesso prima che col lettore: dirsi quello che è stato e quindi fare in modo che il lettore non legga ma ricordi quello che lui sta raccontando. Il lettore diventa un socio delle sue malefatte, un compagno della sua prigionia, un fantasmagorico testimone-spettatore, e la sua partecipazione ha i tratti irregolari di una logica immaginifica, la lettura è un ascolto, l'immersione nel resoconto di un sogno». Il testo di Pier Paolo Pasolini riproduce la versione pubblicata in "Descrizione di descrizioni".