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Nel tempo del capitalismo generalizzato, la cultura ha cessato d'essere uno strumento di emancipazione collettiva e si è ritirata nelle stanze dell'autoreferenzialità e dell'accettazione. L'usuale distinzione tra sapere alto e cultura di massa sembra essersi dissolta. Se l'impero del capitale è penetrato nelle maglie più sottili della società, la periferia ne è uscita cambiata, stravolta. Anche la letteratura - e la possibilità del discorso critico che ne consegue - pare essersi arresa a una servile marginalità. I saggi di questo libro ragionano di questioni di politica culturale, insistendo sulla necessità di un cambio di rotta: riabilitano la teoria come occasione di orientamento e sostengono l'idea di un sapere critico e mai pacificato.