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Con "Bute", Pascal Quignard, torna in Italia dopo un silenzio di quasi 15 anni. Rende omaggio a una figura marginale le cui tracce si riassumono in una manciata di versi delle "Argonautiche", scritte da Apollonio Rodio ad Alessandria nel III sec. a. C. Bute è l'argonauta che volle ascoltare il canto delle sirene e si gettò nell'acqua. Solo tra tutti, Bute rispose all'appello del canto originario e si tuffò verso l'ignoto. Su questo personaggio oscuro che la storia ha dimenticato, Quignard si china con gesto amoroso per farne l'incarnazione del desiderio di avvicinarsi al fondo abissale della vita e della natura umana. Dal mito, attraverso immagini e riferimenti letterari e frammenti di eredità greca e latina, tesse la sua meditazione sulla musica: essa si spinge verso quel luogo estremo al-di-là del linguaggio, punto d'origine tra la vita e la morte, dove giace l'inarticolato, il grido dell'infans, la notte da cui siamo scaturiti, e ne conserva le tracce. E chiama colui che, come Bute, acconsente ad ascoltare.