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La pubblicazione di un saggio che analizza il "Barone rampante" di Italo Calvino nasce dalla constatazione che con esso inizia (ed è un aspetto già noto alla critica più attenta) il cosiddetto formalismo naturale dello scrittore ligure, la sua costante attenzione al punto di vista narrativo e all'autoriflessività, ovvero l'omaggio ad altri autori, qui uniti in una specie di pastiche, in cui il romanzo guarda al romanzo e non alla vita. Un procedimento simile si avverte nell'uso delle metafore, spesso originate da altri testi, che vengono distrutte rappresentandole nel loro divenire concreto, e nella duplicità non solo del tessuto narrativo, ma degli stessi personaggi. Il libro analizza il processo in cui si manifesta questo formalismo: se da un lato il Barone appare favola fantastica, e descrizione realistica dell'amato Settecento Illuminista, dall'altro la vera ricerca di Calvino si appunta sul suo doppio, ovvero sulla sua primissima riflessione della struttura formale, ben prima che iniziassero gli studi calviniani sullo strutturalismo, su Barthes, e che seguisse a Parigi la scuola di Ou.Li.Po e Queneau. Ma prima di poter giungere a queste conclusioni, Ciampitti ha indagato con cura il testo in tutti i suoi aspetti, gli alberi e l'Illuminismo, la vita sociale e i limiti storici e geografici del Barone, individuando una contraddizione feconda, sul piano poetico, del romanziere: l'interpretazione della ragione illuministica...