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«Il regno del sentimento in antitesi a quello della ragione»: così T. Mann descriveva il Tristano e Isotta di Wagner. In questo romanzo proprio il capolavoro del romanticismo tedesco replica il suo esercizio di passione impossibile, agitando i fili di una vicenda che affonda le radici in una vita «fin troppo lunga, per chi ha perduto l'anima e le sopravvive». Sul palcoscenico della provincia rampante degli anni '80, intorno alla riapertura del Comunale varata dall'epopea wagneriana, salgono la scenografa Greta, convinta che un fiore di tarassaco rappresenti «tutto ciò che si può dire sull'amore»; sua sorella Irene, autrice del progetto del rinato teatro, e il marito costruttore, Marcello; Pietro, malinconico proprietario della liuteria Casali, e la moglie Cecilia, erede di una dinastia di cavatori; e poi il violento Manuel una multiforme teoria di comparse, primi attori e spettatori. E mentre tutto pare scivolare «ogni giorno di un passo / nel fetore delle tenebre», ognuno dovrà chiedersi se sia davvero necessario «dare un nome a ciò che dà un senso a una vita, o a una morte», sapendo che «in un camposanto nessuno guarda mai il cielo». Nessuno, tranne forse i bambini.