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«Entrare nel mistero, sprofondare nella luce», così scrive Pizzolitto in una delle liriche conclusive di questo libro, additando quale sia la strada da percorrere per staccarsi definitivamente da quel "muro della terra" di caproniana memoria - e non a caso proprio a Caproni è dedicato un suggestivo omaggio in versi - e spiccare come una rondine verso l'infinito. Eppure dietro quel verso che si offre come una sintesi del percorso che la parola di Pizzolitto svolge in queste pagine, si cela una definizione potente e cangiante di cosa rappresenti la poesia per lui: uno strumento capace di addentrarsi nelle cose per poi sublimarsi e rarefarsi, un ponte invisibile tra la terra e il cielo, tra l'immensità di quel cielo, che è metafora di Dio, e l'oscurità dell'abisso, nella consapevolezza che quel dualismo si agita dentro di noi, ci attraversa e ci strazia. (Dalla Postfazione di Emanuele Spano)