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La parola decrescita è urtante, dà fastidio. Ci ricorda che un'intera era è finita. Che la civilizzazione che l'ha caratterizzata è al collasso e che l'unica possibilità di immaginare un futuro vitale sta in un profondo cambiamento riflessivo. L'idea di decrescita contiene un richiamo ad elaborare questo lutto, a riconoscere la necessità di una radicale discontinuità, a rileggere quello che stiamo vivendo in termini più complessivi di un passaggio di civiltà. Dentro le società ricche e sviluppate si sta facendo largo un movimento profondamente consapevole che la civiltà dell'accumulazione, del consumismo e della crescita si rivela oggi per quel che realmente è: una parentesi nella storia umana, un vicolo cieco evolutivo. Tutto questo chiama in causa il nostro stile di vita, le nostre abitudini quotidiane, il nostro rapporto con altri paesi e culture, e un sempre più inevitabile ripensamento delle relazioni sociali fondamentali tra uomini e donne di differenti generazioni. L'idea della ricerca di una qualità della vita differente fondata sulla frugalità, sul fare con meno, non è più un patrimonio di una nicchia ma sta pian piano attraversando l'intero corpo sociale.