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"Se il giovane poeta di "Nell'accampamento delle ombre" si chiedeva quando "l'intero sistema solare ci starà dentro di me", quello più maturo di "Elegia al nuovo mondo" riformula il dilemma da un'angolazione non più dicotomica bensì fenomenologica: "Io non sono più in me né il paesaggio in sé / insieme siamo un'altra cosa che non sappiamo". Per concludere, poi, in "Stelle equatoriali": "io ho questo che mi giunge dalla notte / dal vento dal mare / dalle sabbie del litorale / dalla luna equatoriale ed è questo che sono." Al termine del suo viaggio ulissiaco, il poeta ritorna alla provincia oscura, un ridotto di spettri su cui spira il sentore marcescente delle cose sfatte e dei desideri perduti. Ma è un'oscurità che necessariamente implica il suo opposto luminoso, l'insopprimibile persistenza di una reciprocità organica tra uomo e natura. Dalla nostra disponibilità a ingaggiarci in questo scambio sembra dipendere, alla fine, per Narlan Matos, la nostra salvezza." (Dall'introduzione di Giorgio Mobili)