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Voce isolata e solitaria, a lungo silente nel vasto panorama mantovano, quella di Augusto Bolther è poesia di immagini suscitate come se il canto scaturisse per un irresistibile impulso che non dà tregua, che non ha confine. Perciò la sua poesia è la meno ermetica che si possa concepire. Essa è piuttosto confessione inesausta, fatta alla tempestosa presenza di un cuore che anela alle verità ultime, alle soglie della irriferibile luce, ove è possibile scorgere qualcosa di noi, avviluppato in fondo a noi, in necessità di luce che può rimuovere la nostra finitezza, la nostra vita imperfetta. Una necessità dell'anima che è amore esclusivo per la comunione con un'unità vasta e misteriosa; quella cui i poeti non rinunciano mai, che tanto più li appassiona quanto più sembra perduta e dimenticata, nascosta sotto spoglie più impenetrabili, nel fondo di più oscuri labirinti; sempre sul punto di scomparire come le apparizioni e i segni arcani.