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Con il suo fare spavaldo, Hemingway sosteneva di bere per "rendere le persone più interessanti". E se Faulkner, durante le sue notti davanti alla macchina da scrivere, teneva "sempre una bottiglia di whisky a portata di mano", Carver trovava nell'alcol l'unico rifugio da una sensibilità tormentata. L'elenco potrebbe continuare a lungo, tanti sono gli scrittori che in quel convergere di dipendenza, euforia e angoscia hanno ritrovato la cosa più simile all'ebbrezza della creazione artistica. Anche per Brett, la protagonista di "Adulterio in America Centrale", la bottiglia è musa e carnefice. Reduce da un turbolento passato da alcolista, ma anche da scrittrice di successo, ora conduce una vita agiata e regolare a Città del Messico, affiancando il marito nella gestione delle loro proprietà alberghiere. Non beve più, non fa più sesso con sconosciuti nel retro dei bar. Ma ha anche smesso di scrivere: il suo lato più istintivo è rimasto, insieme al talento, sul fondo dell'ultimo bicchiere. Proprio quando si è ormai adattata a questo nuovo ruolo, l'incontro con Eduard, consulente finanziario del marito, rompe l'equilibrio conquistato a fatica. I due intrecciano una relazione ossessiva e morbosa: i viaggi di lavoro in lussuosi alberghi dell'America Centrale diventano pretesti per inseguire un'illusoria felicità. Così Brett ricomincia a bere ma anche a scrivere con successo, finendo per cedere sempre più alle proprie pulsioni, anche a costo di perdere tutto. Prefazione di Tim Small.