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Può un corpo, nella sua prorompente femminilità, annullare completamente il pensiero della persona al quale appartiene? O può, viceversa, lo stesso pensiero condizionare lo stesso corpo nel suo agire fisico, fino a renderlo succube dell'elucubrazione mentale? In "Infinita-mente Marlen", questa tesi sembra assumere consistenza nel momento in cui il lettore entra nel testo o, per meglio dire, lo avvinghia come fosse preda o visibilità di un'astrazione al limite dell'accadimento. In un verso, collocato nelle prime pagine del componimento, si legge: "Perfettamente imperfetto/Infantile e provocante/Nella sua semplicità/gioco di ossimori dove l'imperfezione fisica, reale o immaginata, trova respiro nella leggerezza della sua semplicità."