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Forse un modo per avvicinare subito il lettore all'opera di Kunvar Narayan è citare la definizione che della poesia egli stesso aveva dato nel prologo alle sue liriche pubblicate nell'antologia Terzo settetto (Tsira Saptak, 1959), dove affermava che essa è la "critica della vita". Nelle ventiquattro poesie qui scelte, tutto l'intreccio di atmosfere se da una parte rivela l'impianto profondamente strutturale di Nessuno è altro, dall'altra intende visualizzare il disegno olistico del poeta. Le diversità devono restituire l'idea dell'unità e dell'identità. Narayan, senza mai indugiare nell'eccessivo culturalismo, alterna l'uso di ricercate strutture formali (come la costruzione genitivale persiana) e di preziosismi lessicali alle espressioni del parlato, ricorrendo di volta in volta a matrici linguistiche diverse: hindi, sanscrito, urdu, persiano, inglese. In particolare, l'urdu intensifica il richiamo del passato con le sue sonorità e la sua carica evocativa, mentre il sanscrito, nella sua purezza diamantina, illumina la percezione metempirica e la speculazione.