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È lieve, quasi impercettibile, il declino di Ragusa-Dubrovnik, la piccola repubblica adriatica. I francesi di Napoleone vi sono giunti ancora nel maggio 1806, infidi e dominanti; il 31 gennaio 1808, quasi alla vigilia della festa di San Biagio, il patrono, gettano definitivamente la maschera e in poche ore annientano la millenaria città marinara. Cristiano Caracci non si accontenta di descrivere l'atto finale della caduta di Dubrovnik, ma scava, con la sua narrativa, nel male profondo che corrode Ragusa: scandaglia il cancro della corruzione impersonata dal rettore Simone, uomo avido e senza scrupoli. Però la 'cronica' dello scrittore udinese è molteplice, a ventaglio: intreccia la sfera quotidiana e intima con le prospettive della grande storia, abbozza con maestria e fascino i personaggi-simbolo come l'integerrimo rettore Pietro, scolpito con forza nella sua dignità severa e avita; ma Caracci ritrae, partecipe, anche le figure esemplari della vita creativa e laboriosa: il magister organorum, mastro Antonio friulano; Giuseppe il marangon; fra' Ruggero, il francescano che suona nella Cattedrale la musica luterana di Bach. E poi la meravigliosa figura di Laura, una fanciulla ragusea che Pietro, il futuro rettore, incontra drammaticamente in terra musulmana.