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"Il verso nasce con la dizione degli aedi. Gli aedi avevano istintivamente percepito qualcosa che gli studi di neurobiologia moderni hanno messo in luce. La nostra attenzione è discontinua; specie dopo un'espressione o una parola più impressiva, la mente stacca per un attimo il contatto e riaccende l'attenzione solo qualche istante dopo. È per questa intuizione che gli aedi hanno inventato il verso, in cui appunto si va a capo. Poi hanno anche scoperto che per restare impresse le parole devono avere una cadenza sequenziale. Le parole poetiche hanno l'incisività di colpi di scalpello, ma se non seguono una cadenza scorrono via delebilmente come l'acqua. Secoli dopo è venuta infine la rima a sigillare quella sequenza, a inchiavardarla nella memoria. Con la scrittura a stampa s'è perso un po' il gusto dell'ascolto della poesia, sostituito dalla lettura solitaria. Eppure molte persone - credo di più - oggi percepiscono la poesia meglio per via uditiva che per via visiva. Molti colgono solo nella dizione quegli alti e bassi, quelle pennellate che danno colore al verso, quelle modulazioni che lo fanno aderire alle movenze dell'anima, all'andamento del nostro respiro. Con gli occhi molti tendono a uniformare, ad appiattire il tutto. Prezioso perciò è il dire degli attori che rigenera la percezione di qualcosa che era sfuggito, riuscendo persino a trasformare quella ch'è un'emozione solitaria (la lettura di una poesia) in un'emozione collettiva..." (Dalla Prefazione di Corrado Calabrò)