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La tragedia "Giugurta" (1808) di Michele D'Anna (Cefalù, 1760 circa - Palermo, 1810), ispirata al "Bellum Iugurthinum" di Sallustio, verte sul tema della corruzione politica. Il personaggio eponimo, ormai incontrastato re di Numidia dopo l'uccisione del rivale Aderbale, viene infatti convocato a Roma per svelare i nomi degli oligarchi da lui comprati con l'oro negli anni precedenti, ma, nella speranza di tornare illeso in patria, non cessa di ricoprire di danaro consoli e senatori. Solo il tribuno Caio Memmio sembra opporsi a tale mercimonio pronunciando nel foro un'infuocata orazione che rappresenta non solo uno spietato atto d'accusa contro il degrado morale della nobiltà, ma anche un incitamento alla plebe a prendere coscienza delle insidie e dei tradimenti orditi contro la patria e a reagire alle malversazioni e ai soprusi compiuti ai suoi stessi danni. Manifesto delle istanze liberali e riformatrici di ascendenza francese del poeta siciliano, l'opera non sposa tuttavia una prospettiva autenticamente rivoluzionaria, professando piuttosto un liberalismo moderato di stampo girondino aperto alla speranza di un riscatto delle classi popolari e di un loro coinvolgimento in un processo politico di rinnovamento sociale.