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Una stridente "inctura", una freddezza calda, una tormenta placida, quasi un ossimoro dell'anima, un canto rumoroso che giunge dalle caverne della quotidianità e diventa verbo gravido, che cresce, come lo spazio dello sguardo che si volge all'universo e lo contempla, lasciando da parte il cinismo e dando estensione soltanto all'infinità di essere. Oltre che allo stupore di esserne parte. La silloge di Emanuela Carniti ha la caratteristica di essere donna: profondamente, densamente, mortalmente donna.