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Mentre scrivo è in corso a Palermo il processo per la trattativa. Che tanto sappiamo tutti come finirà. Penso al coraggio di alcuni magistrati. E alla vigliaccheria di altri. Penso ad avvocati che hanno difeso gli interessi di boss mafiosi e che oggi siedono in Parlamento. Penso alle ultime indagini di Paolo Borsellino. Ai suoi appunti su un'agenda rossa. Anche il magistrato ucciso in via D'Amelio potrebbe aver cercato di dare un nome al Corvo. All'autore delle otto pagine anonime infarcite di previsioni e accuse. Di dare un nome a chi riferì dell'incontro di un noto ministro con Salvatore Riina. In una sacrestia di San Giuseppe Jato. Penso che è lo stesso ministro su cui indagò Rino Germanà, un poliziotto che lavorò per anni con Paolo Borsellino e che Cosa Nostra cercò di uccidere il 14 settembre del 1992, a Mazara del Vallo. Due mesi dopo la strage di via D'Amelio. Nel giugno del '92 Germanà venne incaricato di indagare su pressioni denunciate da due alti magistrati di Palermo per pilotare il verdetto del processo per l'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Ma questa è una vecchia storia. Ormai archiviata. Forse. Che pure si inserisce nell'intricata e dannatissima ragnatela che ha intrappolato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una ragnatela esplosiva. Anche se non si capisce perché siano stati utilizzati 500 chili di tritolo per eliminare Giovanni Falcone. Avrebbero potuto ucciderlo a Roma, con più facilità e meno clamore.