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Wainaina ha impiegato sette anni per raccontarne poco più di trenta della sua vita in questo memoir di formazione che ha l'impatto di una confessione collettiva, quella del continente africano che si confronta con il mondo. La sua non è un'infanzia di stenti, la sua non è l'Africa degli affamati e delle multinazionali ma un'Africa che vuole trarre forza dalla diversità. Il giovane Binyavanga affronta i ricordi e li distilla nella sua visione emotiva della Storia. Il punto di partenza è un fatto che cambierà per sempre il suo paese. Nel 1978 muore Kenyatta, "il padre della patria", e gli succede Daniel arap Moi - un kalenjin al posto di un kikuyu. Mentre il Kenya appare al mondo come "un'isola di pace", impazza la rivalità tra le tribù e il razzismo. Binyavanga non può studiare nella scuola che ha scelto, e questa è solo la prima di una serie di rinunce. Finite le secondarie, decide di emigrare in Sudafrica per studiare finanza ma la nostalgia di casa e un senso di inadeguatezza avranno il sopravvento. Sono i libri a salvarlo: Binyavanga legge sempre, ovunque; si convince che il linguaggio è l'unico modo per dare una struttura al mondo. Ragionare sulle parole lo aiuta a costruirsi una coscienza politica, a laurearsi. E così, a un certo punto, è tempo di agire: "Ho letto romanzi e osservato le persone. Ho scritto quello che vedevo nella testa, ho dato forma alla realtà mettendola in un libro", perché la vita non è solo capire chi sei ma anche chi dovresti essere.