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La descrizione del mondo commerciale romano offertaci da Catone come "strenuum studiosumque & verum, ut supra dixi, periculosum et calamitosum" getta uno spunto di luce verso i rischi dell'attività imprenditoriale, che ben presto dovevano imporsi all'attenzione dei giuristi romani non solo dal punto di vista dell'imprenditore, delle incognite dell'avventura commerciale, dell'eventuale fallimento, ma altresì dal punto di vista del finanziamento per così dire "esterno" e della esigenza di tutela che questo richiede (che è un altro modo per favorire il commercio: indiretto, ma essenziale). Nel campo del commercio marittimo i rischi, dall'abbordaggio dei pirati ai venti contrari e alle tempeste, apparivano più imprevedibili e più gravi, e le spese ordinarie, a cominciare dalla refectio navis, risultavano di indispensabile regolarità e di notevole peso: qui, dunque, l'intervento dei giuristi, a partire da Ofilio, ha risposto prontamente alle necessità dell'imprenditore acquietando i timori di un eventuale finanziatore in dubbio di fronte alla mancata previsione del suo caso nella praepositio imprenditoriale.