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Prendete Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Pascoli, D'Annunzio, Montale e tanti altri .mostri sacri. della storia della poesia italiana e "traduceteli" in romano, anzi in romanesco. Non soltanto per quanto riguarda la lingua, ma anche per l'umore, l'atmosfera, i luoghi, le suggestioni che diventano quelle proprie di Roma e della sua cultura. L'operazione è coraggiosa, ma soprattutto rischiosa. Arcioni la porta a termine con grande arte e raffinata misura, dimostrando di avere sensibilità e cultura per potersela permettere. È così che Paolo e Francesca peccano sul lago di Bracciano, il pineto dannunziano si sposta dalle parti di Frattocchie de Marino e la leopardiana quiete dopo la tempesta diventa "er quietovive doppo er temporale", con un tocco di magia che rende tutto altrettanto spontaneo e poetico degli originali.