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"Una sera d'inverno passeggiavo lungo Lexington Avenue e fui superata da una macchina con i vetri oscurati. I fumi che fuoriuscivano dal tubo di scappamento mi hanno riportato alla mente Chester, l'autista di mio nonno, che nel libro diventa Arthur. Aveva l'abitudine di aspettarlo in macchina con il motore acceso. Quell'immagine, o visione, è stata l'innesco del libro, ha mosso qualcosa, anche perché per me che il padre non l'ho avuto Chester è stato un punto di riferimento". "Florida" è infatti una dolorosa riflessione sulla condizione degli orfani e sulla condivisione del dolore: "In quel periodo mi circondavo di scrittori e poeti che avessero affinità con la mia storia personale. Charlotte Bronte e Elizabeth Bishop, su tutti. Volevo poi che nel libro risuonassero i poeti che hanno segnato il mio percorso di scrittrice: Justice, Snodgrass, Dickinson, la stessa Bishop, e voci decisamente più prepotenti come quelle di Roethke e Lowell. Ho cominciato a scrivere "Florida" al computer nel 1996, nel mio 'ufficio' di New York, che consiste in una scrivania accanto al mio letto e un computer. La stesura del romanzo ha richiesto molto lavoro ed è stata completata nel 2001. Le pagine sono state lacerate dalla demenza senile di mia madre, che morì subito dopo l'ultima revisione. Ci sono voluti tre anni per trovare un editore".