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Il cielo della Louisiana assomiglia al cielo del Vietnam, nel West Bank del Mississippi ci sono "bayou" dove acqua e terra convivono in un equilibrio delicatissimo, e sembra di stare nel delta del Mekong. Moltitudini di profughi e di emigrati vietnamiti dopo la presa di Saigon da parte dei comunisti, nel 1975, si sono riversati in un territorio che facilmente è diventato il loro. Sradicati, trapiantati, eppure rinati e rivitalizzati. Alcune zone di New Orleans, cittadine come Lake Charles e Versailles non sono di certo l'America, le loro vie assomigliano piuttosto alle strade di Saigon o di Hanoi, a stento si trovano cartelli in inglese. Il Vietnam è anche lì, la diaspora vietnamita prosegue tiepida, Nord e Sud, buddhisti e cattolici, i vietnamiti operosi e quelli pigri, quelli freddi e impenetrabili, quelli con il cuore negli occhi. E vietnamiti tutti di un pezzo, donne con i loro "aó dài", case con l'altare per gli antenati, odore di incenso, di cibo speziato, fantasmi, un placido senso del perdono; ma anche vietnamiti americanizzati orgogliosi anzi desiderosi di essere chiamati americani, e i figli di tutti questi, loro sì americani e basta. Non c'è nulla di esotico, nulla di manierato, nessuna esibizione folkloristica nella prosa di Butler. Egli è piuttosto un medium che da voce alle voci, ne ripropone il vibrante ricordo, la toccante urgenza di confessione.