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"Il pauperista" è un libro scritto solo di frasi. Una quotidianità cadenzata su sopralluoghi ai vari angoli del passato, un rapporto amoroso che si dissolve forse in delitto, brevi accenni di cronache, rapidi incontri e addii. In attesa che il proprio nome non significhi più niente, per nessuno. Imperniata temporalmente sul 2004, sulla maschera cioè dell'anno della capitale europea della cultura, quale Genova formalmente era, e su spostamenti minimi quanto profondi in Germania, la storia è come annegata nella densità della sua scrittura, la quale non abbassa lo sguardo davanti alle cose, bensì le nomina e gestisce in una scorribanda verbale inebriante e criptica. Un libro torbido che trasmette la necessità ineluttabile di infuriare. Perché "chi è capace di leggere viene comportato come un accecato".