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"Nello zibaldone di Benedettelli le storie risultano parti infinitesime di esistenze in transito, in movimento, simili all'andamento di un "corto", di un videoclip, dove gli eroi perduti sono sempre più soli e incapaci di essere personaggi, protagonisti. Vivono la loro deriva generazionale di figli indeboliti della nuova Europa in un io disperso, incapace persino di gridare, e non trovano mai un noi collettivo che possa alla fine liberarli dai nodi e grovigli di una condizione perennemente irrisolta di inutilità. Ma forse anche per questo effetto finale, ma non solo per quello, li sentiamo fratelli." (Dalla prefazione di Angelo Ferracuti).