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Le vite racchiuse dentro "Questa conoscenza ultima" sono le stesse che ogni giorno scorrono attorno a noi. Mariti e mogli che stanno insieme da tanti anni, adolescenti che devono crescere, immigrati che cercano una loro via alla felicità, professionisti impegnati nelle loro incombenze ma ugualmente vulnerabili, seduttori insofferenti e disillusi: e poi via via gli altri: un'umanità che in apparenza non ha niente di strano, un'umanità che è quella di cui tutti facciamo parte. Poi a ognuna di queste vite capita qualcosa di insolito e mostruoso. Un evento distruttivo, a volte persino beffardo, che irrompe spezzando la linea retta di un destino sognato, progettato, e gettando una luce diversa sulla matassa informe in cui fino allora avevano convissuto la solitudine, il lutto, la disperazione. In quelli che potremmo definire veri e propri thriller esistenziali, Umberto Apice ci mostra la tragedia nelle ore che immediatamente la precedono o la seguono: la regola di Cechov e Maupassant, secondo cui nei racconti è sempre necessaria una sorpresa finale, viene così applicata e rimodellata.