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Attraverso le vicende biografiche, intellettuali e politiche di Hannah Arendt, un'ebrea tedesco-americana, e Edward Said, un palestinese americano, l'autrice ripercorre alcuni momenti significativi del conflitto che, fin dagli anni Venti del Novecento, ha contrapposto le aspirazioni sioniste (che porteranno nel 1948 alla nascita dello Stato di Israele in Palestina) alle reazioni del popolo palestinese alla espropriazione della propria terra. Con voci diverse, Arendt e Said hanno raccontato la storia di quel conflitto e la sua genesi, tragicamente intrecciata alle vicende europee di fine Ottocento (segnate da imperialismo, nazionalismo e antisemitismo) e della prima metà del Novecento (primo conflitto mondiale e nazismo). Alle profetiche previsioni di Arendt, che sin dagli anni Quaranta temette un esito catastrofico dell'avventura sionista, si affianca, in contrappunto, la voce di Said che, pur denunciando l'originaria ingiustizia storica subita dal popolo palestinese - che ancora attende almeno un risarcimento morale -, ritiene sia possibile arginare la catastrofe che abita in quel disgraziato lembo di terra mediorientale, purché la pace sia coniugata con la giustizia, al di là delle truffaldine formule degli accordi di Oslo che, costruite dagli israeliani e dagli americani, hanno fatto sì che il conflitto si incancrenisse e la tragedia del popolo palestinese si aggravasse. Un ammonimento per l'oggi?