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Scrive Ernesto Olivero nella Postfazione a questo volume: "Utilizzare la fiaba in un luogo estremo come il carcere, contrario a ogni fantasia, con persone segnate dalla vita nelle quali risulta difficile ritrovare l'innocenza del bambino, è una bella sfida. Ma questo libro racconta già le conclusioni, che sono estremamente positive, incoraggianti, commoventi." Sorprendentemente, uomini con pesanti esperienze alle spalle, nella situazione spersonalizzante del carcere, arrivano a scoprire la loro umanità più autentica attraverso le fiabe dell'infanzia. La prima parte del volume illustra il concetto junghiano di individuazioni, che può essere inteso come "diventare se stessi" e a prima vista sembrerebbe difficilmente associabile a "tossicodipendenza" o "carcere". La seconda parte propone i testi delle fiabe ri-raccontate e messe in scena dai detenuti e, in controluce, le loro sofferte storie di vita.