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Se mai i suoi incubi dovessero spingerlo a fuggire in un'isola deserta, Nicola Catenaro porterebbe con sé le opere di Kafka e Poe. La sua creatività è attratta dalle parentesi del mistero e dell'ignoto, la sua fantasia si accende quando può dare corpo a vicende strane e grottesche. La dimensione che più gli è congeniale, quella che più gli appartiene, è il fantastico, e quel che dà fascino alle sue storie è soprattutto una domanda: dov'è che Catenaro "vede" quel che racconta? Quali sono le percezioni che alimentano la sua capacità di invenzione? Sarà il lettore a trovare risposta a questi e altri interrogativi, ma uno è destinato a rimanere inviolato: nello snodarsi di una narrazione, nel momento in cui l'occhio di chi legge fa vivere una pagina costruita per un'istanza fabulatoria, quale insondabile meccanica produce fra le parole quell'attrito che sprigiona ipnosi e turbamento?