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«È come se i versi che vi apprestate a leggere registrassero ciò che accade tra gli interstizi, lo spazio-tempo che sta tra i residui del vivente, dell'apparire, dell'inanimato, che permettono il sussistere del mondo; versi che muovono la sonda di poeta di Colagreco a captare, fermare, contemplare e poi liberare il silenzio dei fondali dell'essere, lì dove muoversi significherebbe disperdere la grazia di scoprirsi vivi. Una sorta di immobilismo, simile a quello dei predatori o dei mistici, una sospensione che però non è ristagno o tattica, ma un abbandonarsi all'inseguimento di ciò che straordinariamente accade, con una meraviglia sorvegliata e vigile verso una realtà che scompone le forme di cui pur si nutre. Un immobilismo, dunque, fittizio ma sapiente, come quello di chi ha compreso che dietro i velami del visibile traluce il continuo e tumultuoso farsi destino del vero».