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Un "amore distruttivo", un "amore sfuggente e distratto", ma anche un amore ritrovato - quello per se stessi - che si emancipa progressivamente dalla morsa fagocitatrice dell'assenza, attraverso il compimento di un percorso sensoriale. Non a caso il libro inizia con il racconto. Una favola nuova da raccontare, un invito a volgere lo sguardo verso quel "pezzetto di cielo" tenuto a lungo nascosto o compresso tra le grate di una prigione interiore, che attende pazientemente di essere sorvolato da chi sa calzare le ali dei propri sogni. E il libro si conclude con il racconto "Il mio Dio" - che dà il titolo all'intera opera - dove la parabola della mutazione si è realizzata e la maturità affettiva si è fatta donna, nel momento in cui all'allontanamento da parte della persona amata non segue più una frantumazione identitaria, ma l'accoglimento consapevole del distacco. (Dalla postfazione di Valeria Di Felice)