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Tre stanze. Stanze come spazi materiali in cui bivaccare. Stanze come strofe poetiche su cui poter navigare. Stanze come non-luoghi simbolici dove poi ammarare. Tre occhi gettati su altrettanti mondi possibili, nella vana speranza di riportare a casa per i propri simili qualche scintilla dal monte Olimpo. All'improvviso non sono più tre, ma trentatré: trentatré respiri esalati in trentatré universi paralleli e al contempo divergenti, uniti da maglie invisibili che rimandano nell'attitudine alle invisibili città di calviniana memoria.