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Alberto Burri dialoga con un persona venuta a Gibellina per visitare il Grande Cretto, opera realizzata sulle rovine della cittadina siciliana travolta dal terremoto del 1968. Burri dice al suo interlocutore che l'opera è nata per superare una tragedia, per portare la vita ove questa era stata distrutta. Il visitatore è abbagliato dall'intensa luce del sole che riverbera sulle distese di bianco cemento usato per realizzare l'opera e prova un senso di smarrimento nel silenzio di uno spazio deserto. Ma l'artista lo tranquillizza dicendogli che con il tramonto il suo stato d'animo sarà rasserenato perché quegli spazi ora vuoti e silenziosi vedranno la vita che sorgerà proprio dalle rovine del terremoto: e da lì a poco, infatti, dalle molte vie del Grande Cretto compaiono prima una Cantastorie che canterà antiche canzoni d'amore siciliane e poi un cuntastorie, che narrerà per i presenti le gesta di Rolando e dei paladini di Carlo Magno. Infine, una sirena verrà da Selinunte a portare il profumo del mare qui a Gibellina, dove il mare non c'è. Si compie così il miracolo dell'arte, che dalla tragedia fa fiorire vita e bellezza, musica e poesia.