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La storia dei Diggers, che nell'Inghilterra del '600 si opposero a enclosures e privatizzazioni occupando terre comunali per «lavorare insieme e insieme spezzare il pane», non fu che un capitolo di una guerra più grande. L'affermarsi della modernità industriale, infatti, non fu il frutto di un pacifico progresso, ma l'esito di una vera e propria guerra civile per imporre la proprietà privata e il lavoro salariato, il disciplinamento di corpi e territori, lo sradicamento dei diritti consuetudinari delle comunità rurali. In questo secolare conflitto la foresta rappresenta uno snodo cruciale, sia in quanto risorsa non monetizzabile indispensabile alla sopravvivenza dei poveri (per legna, erbe, frutti, cacciagione...), sia in quanto spazio di libertà, rifugio per nomadi, banditi, streghe e fuggiaschi d'ogni sorta. Perciò la foresta, da sempre, rappresenta nell'immaginario l'emblema dell'ingovernabilità, del selvatico, dell'alterità, del magico e dell'arcano. Perciò la guerra dei boschi, delle terre e delle risorse sottratte alla mercificazione e restituite alla collettività, è oggi più attuale che mai.