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All'inizio era timida e impacciata: non riusciva a vendere i suoi prodotti. Poi, il marito Raimondo Nobile s'inventò l'alga liofilizzata e Wanna Marchi diventò famosa. Una figura tornata oggi alla ribalta tanto che Netflix le ha dedicato una docuserie. Per vent'anni l'estetista di Ozzano è stata una delle regine della Tv, un personaggio ricercato nei salotti e persino a teatro, una promessa del cinema, un fenomeno di costume. Finché qualcosa è cambiato: la signora che sferzava le casalinghe e le invitava a farsi belle ha cominciato a vendere i numeri della fortuna, in compagnia della figlia Stefania e di un mago brasiliano, si è messa a predicare sfortune e sventure, a vendere sale e pozioni contro il malocchio. C'era solo il sogno, è rimasta la truffa. Il miraggio del benessere ha lasciato il posto alla povertà, l'euforia all'umiliazione. Le vittime, con le loro drammatiche deposizioni in tribunale, svelano come si è sviluppata la fabbrica delle illusioni; Mario Pacheco Do Nascimento spiega com'era gestita dall'interno. Un ex dipendente e un'insegnante di Bologna mostrano come la magistratura e le istituzioni abbiano ignorato per anni le denunce e gli allarmi lanciati da chi aveva intuito il malaffare. Piergiuseppe Cananzi, ai tempi capitano della Guardia di finanza, l'ufficiale che arrestò Wanna e la figlia Stefania, ricostruisce l'operazione «Tapito salato» fino alla notte in cui scattarono le manette. Era il 24 gennaio 2002. Stefano Zurlo dà voce a tutti i protagonisti della vicenda, ricordando che nel caso di Wanna Marchi la televisione «buona» ha prevalso sulla «cattiva», quella che illude e inganna la gente, mettendo finalmente la magistratura nelle condizioni di intervenire.