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Pasolini disse che il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell'anno. Lo scrittore, noto come Stukas nei campi delle borgate romane, era tifoso del Bologna. Il suo idolo era Biavati, inventore del doppio passo, e una volta cercò di scritturare Bulgarelli per un film. Calcio e letteratura hanno spesso incrociato le loro strade, come se avessero qualcosa di ineffabile in comune. Gabriele d'Annunzio è stato tra i precursori italiani del gioco, Umberto Saba ha cantato la solitudine del portiere, Mario Luzi ha pianto il Grande Torino schiantatosi a Superga. C'è chi ha immortalato un pomeriggio d'amore allo stadio e chi ha composto odi per il tredici al Totocalcio. C'è chi ha esaltato i grandi numeri uno e chi ha ritratto i brocchi di quartiere. Molti non si limitavano a scrivere. Pasolini era un'ala scattante. Albert Camus era un buon portiere. Forse non ci crederete, ma Martin Heidegger era una mezzala sinistra di qualità. Jacques Derrida era un ottimo centravanti. Osvaldo Soriano segnò una trentina di gol nelle categorie inferiori. Ludwig Wittgenstein ebbe un'intuizione geniale osservando una partita a Cambridge. Questo libro indaga i risvolti letterari del calcio, l'ultimo grande rito di massa della società dei consumi. Nel gioco si celebra la libertà all'interno delle regole, proprio come nella poesia. Molte partite, campioni, squadre hanno avuto i loro cantori, ma anche il singolo gesto atletico, come il dribbling, la finta, il doppio passo. Eppure, alla fine, sono più commoventi gli eroi della propria infanzia, anche se (forse) non erano campioni e nessuno purtroppo ha pensato di immortalarli.