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Old Trafford, Manchester, 28 maggio 2003. Lo sguardo rivolto più volte verso l'arbitro, rincorsa lunga e gol. Il rigore decisivo contro la Juventus, in una finale di Champions League tutta italiana. Questo è il ricordo indelebile che Andriy Shevchenko, Pallone d'oro nel 2004, ha lasciato nei tifosi del Milan. Già da bambino sentiva che il suo destino sarebbe sta- to quello del calciatore, fin da quel marzo 1986, quando fu selezionato per entrare nei piccoli della Dynamo: il tempo di qualche allenamento poi saltò in aria il reattore numero 4 nella centrale nucleare di Chernobyl. Non è stato un ambiente facile, quello della sua adolescenza. Degli amici con cui è cresciuto ne sono rimasti vivi pochi. Droga, alcol, armi: ecco i loro killer. Lo sport e la sua famiglia, sempre presente, gli hanno indicato la via. La svolta vera, il 5 novembre 1997, a 21 anni: una tripletta entrata nella storia, contro il Barcellona al Camp Nou. Risultato delle cure del Colonnello, Valerij Lobanovskij, che ne ha sgrezzato il talento puro prima dell'arrivo al Milan. Quando si è trasferito al Chelsea, Berlusconi gli ha detto: «Ti lascio andare per la tua felicità. Però sai anche che, tutti noi, vogliamo che tu resti. Il Milan è casa tua». Ha avuto quattro enormi amori calcistici: la Dynamo Kyiv, il Milan, il Chelsea e la Nazionale ucraina. La sua è sempre stata una forza gentile, come suggerisce Giorgio Armani nella postfazione.