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"Io che sono nata nel tempo e nel luogo, secondo me, più belli del mondo per nascere e insieme al latte di mia madre, con tutti i suoi problemi, ho succhiato la gioia di vivere per la felicità della ricostruzione della città, del paese, delle coscienze forse, nella speranza del miglioramento delle condizioni di vita per tutti". Fabrizia Fabbroni ama parlare di sé, narrando di quel periodo pieno di esperienze e di emozioni che va dall'anno di vita fino ai dodici anni. Non è però, come potrebbe sembrare di primo acchito, un testo meramente autoreferenziale. C'è di certo una notevole componente autobiografica, testimoniata anche dalle foto che ritraggono l'autrice in vari momenti, dalle passeggiate ai giardini alle vacanze al mare, dalle feste di compleanno alle gite fuori porta. Eppure, tramite un racconto centrato sull'"Io che" emerge anche uno spaccato dell'Italia del Dopoguerra, un'Italia che per la prima volta ha garantito ai suoi figli un tempo di pace, e soprattutto la possibilità di costruirsi da sé un avvenire migliore.