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Opera della vita, calcolata nell'eremo del sudore e dell'errore, scritta tra il 530 e il 550, la Regola si configura come scuola (dominici schola servitii) e milizia ("dobbiamo disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza"). La sua grandezza è nella sua statura di addestramento, di disciplina temporanea e terrena, essenziale per inutilità, pratica, semmai, per impartire i "primordi della vita monastica". Il Vangelo spacca il sepolcro della Legge, fa accedere a una libertà vorticosa, che acceca. Benedetto disponeva di diversi modelli - soprattutto: Basilio, Agostino, le Istituzioni cenobitiche di Giovanni Cassiano, la cosiddetta "Regula Magistri" -, ma la semplicità, la potenza pervasiva e didascalica consentì alla sua Regola una vastissima diffusione in tutta Europa, fino a diventare il fondamento di diversi ordini monastici. La sua logica, condotta con il cilicio e con il cinismo, è ineffabile, feroce: bisognerebbe avvicinare la Regola al Tractatus di Ludwig Wittgenstein - che ha la stessa ambizione di creare accoliti, sotto la sindone del pudore - per capirne la piena potenza sapienziale. La Regola, registrata alla "soprannaturale obbedienza", non dà norme all'anima: riassume la Storia in un giorno, i millenni nell'Ufficio divino, il mondo nei singoli, singolari gesti del monaco, ciascuno dei quali, inconsapevolmente, regge il creato. La Regola, in fondo, infonde una danza e un ritmo eterno nel delirio del divenire, impone un canto.