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L'Unione europea e le scelte che ne hanno governato l'economia e la politica sono state profondamente rimesse in discussione dalla pandemia che ne ha sconvolto vita collettiva e orizzonti esistenziali. In Europa, a differenza delle altre parti del mondo, il carattere epocale della "crisi" è forse ancora più evidente, perché qui la pandemia ha messo in piena luce le premesse nascoste di un disastro prevedibile. Non è vero che l'Europa sia stata colta impreparata. Senza volerlo, senza saperlo, l'Europa si era da tempo preparata al disastro. Con le omissioni, con la superficialità, con la fede suicida nella tecnologia e nei mezzi tecnici e finanziari, con l'accettazione di una globalizzazione assolutamente imprevidente, aveva costruito le precondizioni del disastro. Precondizioni evidenti anche nella massa delle "criticità" accumulate nella costruzione dell'UE, sotto i vari profili - qui oggetto di indagine - della vita politica, della sovranità, della solidarietà, del diritto, dell'economia e del costituzionalismo. In ognuno di questi ambiti della vita sociale si sono smarrite le radici profonde della costruzione europea, che sono in realtà le radici dell'umanesimo europeo. Il grande progetto europeo, concretizzatosi dopo le guerre totali del XX secolo, in primo luogo per promuovere la giustizia e la pace, può solo attraverso quell'umanesimo tornare a recuperare l'arte difficile, ma essenziale, del "vivere insieme", del costruire vera comunità. L'Europa deve e può riscoprire sé stessa nelle sue matrici umanistiche e cristiane, quelle che sono alla base dello stato di diritto, del metodo liberal-democratico e dei valori sociali e universali che hanno fatto, in mezzo a mille tragedie, la storia della nostra civiltà, per uscire dalla "selva oscura" in cui si è smarrita.