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Alla luce del primo conflitto mondiale, assunto come esperienza metafisica, Giuseppe Rensi matura una filosofia scettica e approda alla storia. La guerra diviene in tal senso simbolo di una consapevolezza tragica, rivelando al pensiero che la ragione è incapace di afferrare l'essenza degli eventi umani. Accertata la scissione tra ragione e storia, Rensi intraprende un'esplorazione metodologica, andando a rintracciare quei contributi filosofici che motivano la razionalità dei processi storici. Il confronto critico con Benedetto Croce e Giovanni Gentile diviene dunque un passaggio inevitabile per ritornare a Hegel, rispetto al quale Rensi intende formulare una propria teoria della storia. Pensatori come Schopenhauer, Renan, Taine, Zeller, Dilthey, Simmel abitano allora la meditazione sul significato della storia e forniscono al filosofo veronese una grammatica dei concetti adatta a favorire una comprensione dei fatti alternativa allo storicismo hegeliano. Collocandosi in una continuità di pensiero, Rensi apre così la sua vicenda intellettuale a una dimensione europea, alimentando però nel paradosso la radicalità dell'approccio: confutare la metodologia idealistica servendosi della dialettica hegeliana. L'esito del percorso teorico è dei più imprevedibili, poiché fonda la decifrabilità della storia su una scelta decisiva: scetticismo o pessimismo.