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In tutti i libri di storia sarda c'è traccia degli avvenimenti in Gallura nel 1802. Un tentativo rivoluzionario fallito nel sangue. Ciascuno di questi autori, in modo sintetico o particolareggiato, narra di queste vicende con trasporto, sia esso dettato dall'idea di "sardità" che l'autore ha maturato in sé, sia quando si esprime a favore del governo del tempo. In ogni caso nessuno (o quasi) pronuncia un lamento per le vittime innocenti, coinvolte in un'avventura più grande di loro e, soprattutto, senza avere la coscienza della portata delle proprie azioni. Per i sostenitori della "nazione sarda" tutto si ammanta di eroismo; per i difensori del potere costituito non si tratta che di avventurieri e ribelli locali; per quanti si collocano in uno spazio di netralità assettica gli avvenimenti in Gallura del 1802 vengono considerati con troppa sufficienza e mai con un'effettiva analisi del territorio e delle condizioni del popolo. Una storia, quindi, monca e mai esaustiva, per non dire di parte. Ecco, questo libro rovescia questa impostazione e, attraverso l'analisi dei documenti d'archivio, ricostruisce i fatti del 1802 avvalendosi di una critica serrata, dimostrando in questo modo lo spazio minimo possibile da concedere agli "eroi", non sempre adamantini, e la considerazione dovuta a quanti, senza troppi clamori, sono stati vittime di progetti che si collocavano ben al di là della loro portata. In mezzo, la dura legge della "conservazione del potere".