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Scritti da Giovan Battista Marino nel corso di diversi anni, dai primi del Seicento fino al 1615 del Tempio, i panegirici illustrano in modo esemplare il rapporto del cavaliere napoletano con i sovrani del suo tempo: un rapporto improntato all'omaggio e alla celebrazione sontuosa, e nello stesso tempo mirato a rivendicare l'eccellenza della parola poetica, l'unica capace di garantire la fama e la gloria dei potenti. Su questo equilibrio, tutto implicito, si giocano sia il Ritratto del Serenissimo Don Carlo Emanuello, pubblicato da Marino nel 1608 per guadagnare una posizione privilegiata presso la corte di Savoia, sia il Tempio, opera fondamentale per garantire al poeta inseguito in Italia dall'Inquisizione la protezione dei sovrani di Francia, e anzitutto di Maria de' Medici. Completano il volume due panegirici minori per dimensioni e per ambizioni ma di grande interesse: Il Tebro festante, per l'elezione di Leone XI nel 1605, e l'abbozzo de La Fama, elogio composto per la regina Anna d'Inghilterra.