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«[Qui] si procede nei luoghi dell'interiorità dove le coordinate spazio-temporali si annullano e tutto si svolge in una contemporaneità che vede coesistere memoria e realtà. È qui che avviene la restituzione, nello svelamento - che è togliere il velo, cogliere la visione - e nel ri-velare (rimettere il velo), prima di riconsegnare il tutto alla memoria. Un atto alla luce della ragione che permette una lucida rappresentazione del rinvenimento. Per la poesia, un processo che avviene in modo istantaneo. Lo sa bene Irene, che mostra in questo libro una frequentazione disinvolta dei non-luoghi della poesia, con un'ulteriore consapevolezza: la poesia è soprattutto una questione linguistica. Saper conciliare espressione e comunicazione, dire l'indicibile, nominare, che significa dare un nome, dire per la prima volta, dire soprattutto l'ossimoro, la contraddizione, decifrare il segno. Il tutto come un immenso nodo che finalmente si scioglie, trova la sua lingua, l'unica in grado di descrivere un parto dell'anima: il monologo. Un teatro, una scena disadorna, un'ombra in disparte che tenta un discorso delirante, una presenza viva che rovescia tutti i suoi cassetti, con impeto. Le parole partoriscono immagini incalzanti, plastiche.» (dalla prefazione di Maria Benedetta Cerro)