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«In questa storia, con l'intento di concludere le vicissitudini di un ultraottuagenario che medita sulla sua lunga vita, lo identifico in due personaggi scomponendolo nello scrittore Isaac e nel narratore Davide. La storia si sviluppa nel clima invitante di Bordighera. Il problema della disidentità viene racchiuso nel far vivere le due parti completamente staccate l'una dall'altra, come se appartenessero a due persone diverse e non alla stessa». «Il tema della disidentità non è nuovo in Giorgio Cesati Cassin. Ne "I racconti del caos" pubblicati nel 2000, l'autore procede in una "disidentità proteiforme di sé facendo abitare i suoi personaggi in un mondo caotico che sembra non avere versi, né ragione, né redenzione" (dalla prefazione di Giampaolo Lai). Sono trascorsi 19 anni e l'autore ci riprova. Non so se per scelta narrativa, una sorta di espediente che permette di stabilire una distanza di sicurezza tra sé e sé o perché tale modalità gli sia intimamente più consona al punto da concentrare su due figure particolari, il medico analista Isaac Mandelbaum e l'olivicoltore Davide Cavaglion, ciò che in precedenza era stato diluito. Necessità di mettere ordine nel caos? Nel proprio? Chissà. La letteratura è sempre finzione? Così sembrerebbe per Giorgio Cesati Cassin che fa riportare a Isaac le considerazioni di Nabokov in proposito. E non solo, disquisisce con un altro scrittore dal quale è lontano quanto una linea retta da una a zig-zag e dice: "La mia scrittura può assomigliare a un elettrocardiogramma oppure a un tracciato delle trincee sul fronte", mentre quella dell'amico "è simile a un viaggio in treno sempre sulla stessa rotaia...". Tuttavia, se passo il setaccio, tra le righe colgo parole e fatti in qualche modo noti, forse trasfigurati, aggiustati, riadattati, ma veri.» (dalla prefazione di Doriana Valesini)