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"Per Roberto Veracini la poesia è una follia necessaria per fuggire dall'incostanza umana, un dialogo col niente, un'utopia accettabile, un salvagente nel naufragio del mondo dove l'uomo, un giorno, finisce sempre per perdersi. Inesorabilmente. E per questo che possiamo dire che è il poeta della presenza. La coscienza di essere presente al mondo, hic et nunc, è per lui la condizione indispensabile della felicità, se esiste. Presente, ma basta saperlo. [...] Vede segni improbabili, sente voci taciute e crede ai sogni. Veracini è il poeta, anche, delle presenze: sorte dalla sua memoria, dai quadri o dai libri, dall'oblio, dal silenzio, dalle pietre o dal vento, sono li come ombre familiari che lo sostengono passo a passo. Un ricorso al passato per vivere il presente. [...] (Nei suoi versi) spesso si confrontano la luce e il buio, il dolore e la gioia, l'uomo e la donna. La sua poesia ci parla dell'amore nella sua dimensione metafisica. È l'amore che ci fa nascere o che ci può risuscitare. È lui che ci fa soffrire e che ci fa morire, infliggendoci la solitudine e lo sconforto del vuoto. È lui che fa oscillare il pendolo delle nostre vite tra Eros e Thànatos. È lui che il poeta incarna nelle sue parole come valore e simbolo della nostra debolezza di ossa, di pelle e di sangue. [...] La sua amicizia mi ha ribadito che era davvero la persona che avevo riconosciuto, leggendo i suoi primi versi. «Mio simile, mio fratello» per dirla con Baudelaire." (dalla postfazione di Bernard Vanel)