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Se si escludono le bellissime pagine su Charlie Chaplin, il suo attore-feticcio, nel Romanzo del Novecento, il grande affresco di Giacomo Debenedetti sulle forme narrative del secolo breve, manca un capitolo, quello sul cinema, un'esperienza ormai alle spalle. "Cinema: il destino di raccontare" ricompone il capitolo mancante, attingendo dalle riviste letterarie e cinematografiche, e dai quotidiani, un gran numero di interventi che delineano il ritratto inedito di uno dei pochissimi scrittori di cinema in cui il rapporto fra teoria e pratica è forte e incisivo, la concretezza dei riferimenti assolutamente estranea al compiaciuto estetismo dei letterati imprestati al cinema. Il suo territorio d'elezione è il cinema americano, dove la sceneggiatura è in grado di "mettere tutto in movimento". Se grazie alle prodigiose risorse della macchina produttiva tutto funziona, o quasi, il merito va anche agli attori e alle attrici. Sono loro che evocano le intermittenze del cuore. Soprattutto Katharine Hepburn che "ci fa toccare alcuni segni del Destino con la maiuscola. È andata lei personalmente, è andata lei per noi, così fragile e femminile e lieve, a parlare con la Sfinge. È una di quelle che si sono voltate indietro, e tuttavia ritornano a noi. Oh. Euridice!".