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In questa sua ultima silloge Vincenza Fava riesce ad assolvere un'umanità in cerca di redenzione attraverso la parola e, se il dolore che un Dio nascosto reca con sé è barbaro e simile al buio della notte per la cecità cui siamo soggetti, la risposta dell'individuo sta nel tentativo di abbandonarsi tra le braccia della vita ("E quasi m'abbandono") con tutto quello che comporta: l'accettazione di ciò che siamo ci individua come esseri umani sempre alla ricerca di una verità che dia valore e sostegno agli abissi e ai paradisi che viviamo quotidianamente.