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La lunga intervista di un giornalista argentino al grande scrittore russo Vladimir Nabokov si trasforma in un caso enigmatico. Non verrà mai pubblicata, perché compromettente: rivela un segreto inconfessabile. Sulle sue tracce si pone Davide Brullo: ne esce un romanzo in bilico fra realtà e delirio, l'illusione dei sensi e la crudele verità delle tragedie umane. Mefistofelico, eccessivo, inaccessibile, Vladimir Nabokov, nel dorato esilio a Montreux, in Svizzera, concede l'intervista definitiva a un giornalista argentino, Charles Kinbote, dotato di eccezionale audacia. L'intervista dura una manciata di giorni: Nabokov rivela la ragione dei suoi romanzi, veri e propri labirinti di cui egli è il Minotauro, custode di un segreto terribile. Il testo, compromettente, non sarà mai pubblicato. Sulle sue tracce - in una Buenos Aires laida, corrotta da un contagio inspiegabile, da cui esplodono cani rabbiosi e una rabbia totale - si mette il narratore, avido di fama. Il romanzo affonda nei reami della lussuria, tocca i micidiali tabù di ogni tempo - il suicidio, l'incesto - non si limita a raccontare: corrompe. Il grande autore di Lolita e di Fuoco pallido, padre e pretesto del romanzo, si rivela una sorta di dio gnostico, di vampiro: e se la letteratura fosse gemella del male? In fondo, il narratore non cerca che una redenzione, pur bestiale.